di Domenico Gangemi, Antonino Napoleone, Giuseppe Scarlata | 18 Aprile 2020

Si riporta il caso del sig. P. C. di 66 anni. Il paziente ha avuto un infarto acuto del miocardio nel 1995, è iperteso ed è affetto da una rara forma di emicrania, l’Emicrania Emiplegica Familiare [a].
Il 13 marzo 2020 il sig. P. C. accusa al domicilio astenia, dispnea e tosse stizzosa. Con il passare del tempo si presentano febbre a 38°C e valori di saturazione di ossigeno in aria ambiente inferiori al 90%.
Il 15 marzo il sig. P. C. si recava al Pronto Soccorso. La radiografia del torace mostrava accentuazione del disegno bronco-vasale, soprattutto in sede parailare sinistra (campi polmonari medio e inferiore). L’emogasanalisi effettuata in aria ambiente evidenziava un quadro di insufficienza respiratoria (paO2 45 mmHg; v.n. compresi tra ±2 ds rispetto alla media per l’età di riferimento) con alcalosi respiratoria non compensata (pH 7,49, paCO2 28 mmHg, HCO3 23 mmol/L). Gli esami ematochimici evidenziavano elevazione della PCR (62 mg/L; v.n. < 5 mg/L), linfocitopenia assoluta senza leucocitosi. Veniva così effettuato il tampone per la ricerca di materiale genetico di SARS-CoV-2, risultato positivo il giorno successivo. Nel frattempo veniva avviata ossigenoterapia tramite maschera con resevoir (ossigenoterapia ad alti flussi).
Il 18 marzo il paziente veniva trasferito presso l’Unità Operativa di Medicina Interna dello stesso Ospedale dove veniva proseguita l’ossigenoterapia tramite maschera con resevoir e venivano avviati Idrossiclorochina 200 mg (2 compresse ogni 12 ore per le prime due somministrazioni, a seguire 1 compressa ogni 12 ore), antibioticoterapia di copertura con Claritromicina 500 mg per os (una compressa al giorno) e Piperacillina/Tazobactam 4/0,5 g in 100 ml di soluzione di cloruro di sodio 0,9% e.v. (1 infusione ogni 8 ore) per eventuali sovrainfezioni2.
Il 19 marzo veniva avviata terapia antivirale con Lopinavir/Ritonavir 200/50 mg, sospesa dopo la somministrazione di due compresse per riscontro di aumento di transaminasi e gammaGT.
La terapia attuata portava ad un rapido miglioramento clinico. Il 20 marzo il paziente risultava apiretico ed è stato possibile ridurre il flusso di ossigenoterapia erogato ad 1 L/min. Così veniva effettuato nuovamente il tampone per la ricerca di SARS-CoV-2, risultato negativo.
In queste condizioni cliniche il 23 marzo il paziente veniva trasferito presso l’Unità Operativa di Medicina Generale di un nuovo Istituto per lo svezzamento dall’ossigenoterapia ed il completamento delle cure. All’ingresso gli esami ematochimici confermavano la lieve linfocitopenia assoluta (650/µl, v.n. 1000-4000/µl) in assenza di leucocitosi e mostravano riduzione della PCR rispetto al precedente riscontro (14,6 mg/l vs 62 mg/l), procalcitonina ai limiti inferiori della norma, LDH 336 U/L (v.n. 122-222 U/L), D-dimero 1920 ng/ml (0-500 ng/ml), transaminasi e gamma GT elevate come effetto residuo della dose di Lopinavir/Ritonavir effettuata nel precedente ricovero (AST 184 U/L, ALT 231 U/L, GGT 88 U/L).
Durante la degenza si assiste ad un progressivo miglioramento della saturazione di ossigeno, per cui il paziente veniva svezzato dall’ossigenoterapia.
Il 26 marzo gli esami ematochimici mostravano aumento del numero assoluto di linfociti (930/µl vs 650/µl) e riduzione di LDH (279 U/L vs 336 U/L) e PCR 7 mg/l (vs 14,1 mg/l) con negativizzazione della procalcitonina.  Ciononostante intorno alle 18 il paziente presentava un nuovo picco febbrile (temperatura di 38°C) in assenza di tosse, faringodinia e dispnea.
Considerata la ricomparsa di febbre, per capire se ci fosse stata una recidiva di malattia o una reinfezione (con conseguente necessità di mantenere il paziente in reparto), si decideva di fare nuovo tampone per SARS-CoV-2. In caso di negatività del tampone, il paziente sarebbe stato dimesso dall’Unità Covid-19 verso un reparto diverso.
Dopo due tamponi (effettuati il 20 ed il 24 marzo) aventi esito negativo, in data 26 marzo il paziente veniva dunque sottoposto ad un terzo tampone, il cui esito (comunicato il giorno seguente, 27 marzo) risultava positivo.
Al mattino e fino al giorno seguente (28 marzo) il paziente risultava apiretico ed asintomatico e la saturazione di ossigeno in aria ambiente si manteneva attorno al 97%. La radiografia del torace mostrava un miglioramento della trasparenza polmonare rispetto all’esame effettuato in precedenza (15 marzo). Gli esami ematochimici mostravano normalizzazione del numero assoluto di linfociti (1190/µl) e della PCR (4,3 mg/L, v.n. < 5 mg/L) e ulteriore riduzione dell’LDH (258 U/L vs 279 U/L).
Veniva pertanto concluso il ciclo di terapia antibiotica con Claritromicina e Piperacillina/Tazobactam che era stato avviato il 18 marzo e veniva sospesa Idrossiclorochina, anch’essa avviata il 18 marzo. Considerate la positività del tampone con, al contempo, la remissione clinica, il paziente veniva dimesso con indicazione ad essere posto in isolamento domiciliare per 14 giorni e ad effettuare successivamente nuovo tampone, come da direttive dell’Azienda Sanitaria territorialmente competente.

Dal caso in esame possono avanzarsi due diverse ipotesi circa la causa per la quale un paziente sintomatico, a seguito di due tamponi aventi entrambi esito negativo, possa in seguito risultare positivo ad un terzo tampone per SARS-CoV-2.

[a]. Epidemiologia: prevalenza di 1/10.000, analoga a quella della forma sporadica; clinica: attacchi caratterizzati da debolezza motoria associata costantemente a sintomi di aura come disturbi sensitivi, visivi e del linguaggio; attacchi gravi, meno frequenti, comprendono emiplegia prolungata, confusione, coma, febbre, segni cerebellari permanenti [nistagmo, atassia, disartria], vari tipi di crisi epilettica e deficit cognitivo; genetica: ereditarietà autosomico dominante; i tre geni-malattia codificano per trasportatori ionici [CACNA1A, ATP1A2 e SCNA1]; diagnosi: la biologia molecolare consente lo screening di questi tre geni; terapia: si basa sugli stessi approcci usati per le altre varietà di emicrania con aura, ad eccezione dei triptani, in questo caso controindicati; sembra promettente l’impiego di alcuni agenti antiepilettici; prognosi: di solito buona.1

  • Recidiva di malattia

Il paziente è ancora infetto, cioè il suo sistema immunitario non ha eliminato completamente il virus, ma la Real-Time Polymerase Chain Reaction (RT-PCR) su tampone non è così sensibile da rilevare a livello nasofaringeo tracce del virus ancora presente nell’organismo umano. L’aumento della temperatura riscontrato il 26 marzo potrebbe essere dovuto ad una riattivazione del virus, che fino a quel momento era rimasto quiescente per alcuni giorni.
La scarsa sensibilità del test spiegherebbe come mai i tamponi effettuati sul paziente il 20 e il 24 marzo risultassero negativi. Al contrario, come dimostrano alcuni studi3, la specificità del test attualmente utilizzato per la diagnosi di Covid-19 si attesta attorno al 95-97% (basso numero di falsi positivi). Infatti, ad essere amplificati tramite la RT-PCR sono i geni altamente specifici del virus (gene per RNA-polimerasi, gene N e gene E; figure 1).

Figure 1

Per tali geni specifici di SARS-Cov-2 non è riportata cross-reattività significativa con geni appartenenti ad altri tipi di Coronavirus o ad altre famiglie di virus a RNA o batteri infettanti le vie respiratorie (figure 2)4.

Figure 2

Al tempo stesso si potrebbe ipotizzare che nel decorso della malattia il virus segua un percorso prima discendente e poi ascendente. In altri termini, localizzatosi inizialmente nelle alte vie respiratorie (naso-faringe), il virus si dirige, passando per la trachea, verso i bronchi, i bronchioli ed infine gli alveoli. Qui, precisamente sui capillari, esistono i recettori per l’enzima convertente l’angiotensina 2 (ACE 2 -receptors) verso i quali il virus sembra avere uno spiccato tropismo4 (figure 3). Nella fase di convalescenza in cui la carica virale diminuisce, l’eliminazione del virus procede per motivi meccanici (accessi di tosse persistenti) in senso opposto: dagli alveoli al nasofaringe.


Figure 3. Proteine spike del Coronavirus. Vengono mostrate le proteine spike in complesso con il dominio legante il recettore di ACE2 (rosa scuro): A) Bat-CoV, B) SARS-CoV, e C) SARS-CoV-2. Un confronto tra le tre proteine spike è mostrato in D e in un giro di 45 gradi anche in E. La posizione dei principali residui mutati in SARS-CoV (posizione 479 e 487) e SARS-CoV-2 è mostrata in F (verde e blu).

Questo percorso potrebbe spiegare perché, dopo un primo tampone positivo a livello nasofaringeo, siano seguiti due tamponi negativi e, successivamente, un nuovo tampone positivo. Nel momento della risalita si potrebbe verificare, come nel caso del paziente in esame, una recidiva clinica di malattia.
Nel momento in cui il tampone ha dato nuovamente esito positivo, per ottenere un’istantanea del profilo sierologico del paziente è stato effettuato un prelievo venoso per la conservazione del siero. Per quanto concerne i markers sierologici, i lavori in letteratura al momento disponibili non fanno riferimento a pazienti clinicamente guariti e con tampone positivo dopo due negativi. In un recente studio condotto presso l’Ospedale Universitario di Zhejiang (Cina), 80 pazienti affetti da COVID-19 sono stati sottoposti a test su anticorpi contro SARS-Cov-2. Il tasso di sieroconversione mostra come i primi marcatori sierologici a comparire siano gli anticorpi totali (mediana di 9 giorni dopo l’inizio della malattia), seguiti dalle IgM (mediana di 10 giorni post esordio della malattia) e, infine dalle IgG (mediana di 12 giorni post esordio)5 La curva di sieroconversione cumulativa ha mostrato che il tasso di anticorpi totali e IgM ha raggiunto il 100%, le IgG il 97,1% i giorni 16, 21 e 29 post esordio dei sintomi, rispettivamente. I livelli di anticorpi sono aumentati rapidamente dal giorno 6 post esordio. Il declino della carica virale è correlato con l’aumento dei livelli di anticorpi (figure 4). Tali dati risultano, tuttavia, parziali poiché troppo breve è il periodo di osservazione (25 giorni) dalla comparsa della malattia per poter osservare una riduzione quantomeno delle sole IgM.



Figure 4. Tassi di sieroconversione cumulativa e dinamica dei livelli di anticorpi dall’inizio della malattia in 80 pazienti affetti da Covid-19. (A) Le curve dei tassi di sieroconversione cumulativi per gli anticorpi totali, IgM e IgG rilevati da ELISA sono state tracciate secondo i metodi di Kaplan-Meier. (B) I livelli di anticorpi sono espressi utilizzando i relativi segnali di legame rispetto al valore di cutoff di ogni test (S/CO). Sono state utilizzate quattro curve di adattamento logistico dei parametri per simulare l’andamento dei livelli di anticorpi

Inoltre non è noto (ed è questo il punto cruciale) quale sia lo stato autoanticorpale di un paziente in cui la malattia sembra avere una recidiva: nel momento della possibile recidiva, è più verosimile un aumento del titolo di IgG o un rebound delle IgM dopo un loro iniziale calo nel periodo di asintomaticità?

  • Reinfezione

Il sistema immunitario del paziente ad un certo punto è riuscito a debellare il virus ma, prima di essere dimesso, il paziente ha contratto nuovamente l’infezione. Il virus responsabile della reinfezione appartiene alla stessa famiglia, ma presenta nuove mutazioni genetiche che lo configurano come un ceppo diverso rispetto al virus responsabile della prima infezione. Tali nuove mutazioni genetiche conferiscono una diversa patogenicità ed elicitano lo sviluppo di nuove IgM e IgG da parte dell’organismo. Tuttavia, per “abituarsi” al nuovo virus e rispondere alla nuova infezione, il sistema immunitario impiega del tempo. Si innesca così nuovamente la lotta tra sistema immunitario ed ospite durante la quale si manifesta la malattia. Se tale ultima ipotesi fosse vera, vi sarebbero tre implicazioni:

  • Il paziente asintomatico con nuovo tampone positivo va tenuto sotto stretto monitoraggio dopo la dimissione al domicilio;
  • Ammesso che in futuro la diagnosi della malattia sarà su base sierologica, vi sarà la necessità di rinnovare costantemente i kit per il dosaggio di IgM e di IgG rispetto a quelli attualmente in commercio, i quali sono in grado di dosare unicamente le IgM e le IgG dirette contro un solo tipo di SARS-CoV-2. Infatti, se la reinfezione si verifica a causa di un nuovo ceppo virale, nuovi saranno anche gli anticorpi sviluppati contro il virus;
  • La terapia costituita da plasma dei pazienti già contagiati e convalescenti, contenente quindi le IgG preformate contro il vecchio ceppo SARS-CoV-2, non basterebbe più a contrastare un nuovo mutante di SARS-CoV-2. Si dovrebbe dunque ricorrere a farmaci che agiscano su meccanismi patogenetici comuni a tutti i ceppi virali.

Conclusioni

Sono necessari nuovi studi contenenti dati su un più elevato numero di pazienti di questa tipologia (“recidiva molecolare” senza reale ripresentazione clinica) con lo scopo di chiarire quale sia, tra queste tre ipotesi, la più accreditata. Interessante in prospettiva futura, inoltre, sembra essere lo studio del profilo sierologico di questi pazienti. I risultati di tali studi saranno importanti per formulare nuove ipotesi sui meccanismi fisiopatologici alla base di questa malattia in modo da poterla fronteggiare con i migliori strumenti possibili.


Bibliografia

  1. Leroux E. et al., Orphanet J Rare Dis. 2008. doi: 10.1186/1750-1172-3-20
  2. Vademecum per la cura delle persone con malattia da COVI-19; Edizione 2.0, 13 marzo 2020 (SIMIT Sezione Regione Lombardia).
  3. Corman V.M. Euro Surveill. 2020. doi.org/10.2807/1560-7917.ES.2020.25.3.2000045
  4. Ortega J.T. et al. EXCLI J. 2020. doi: 10.17179/excli2020-1167.
  5. Lou B. et al. 2020 Apr;23. doi.org/10.1101/2020.03.23.20041707

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