di Antonino Napoleone, Giuseppe Scarlata | 02 Dicembre 2021.

Crederci o meno, è questione di punti di vista, ma dati e verifiche sperimentali dimostrano in modo incontrovertibile che le vaccinazioni riducono il rischio di trasmissione di COVID-19. Gli unici punti su cui i ricercatori ancora faticano a trovare una risposta univoca riguardano due fattori: Il primo è il fattore statistico, che indichi effettivamente quanto sia il rischio di trasmissione di COVID-19 fra individui vaccinati, individui non vaccinati e il mix delle due categorie. Questo quesito non è assolutamente facile da decifrare, in quanto subentrano tante variabili, come le varianti del virus, il sistema immunitario, la tipologia di vaccino, e il numero di richiami vaccinali, per citarne alcune. Il secondo fattore riguarda il tempo, cioè quanto dura la capacità protettiva del vaccino? Sicuramente si tratta di quesiti complessi, su cui si stanno focalizzando gran parte degli studi epidemiologici di tutto il mondo. Nel frattempo, analizziamo insieme qualche dato già disponibile, e cerchiamo di capire come la vaccinazione è in grado ridurre la carica virale e diminuire il rischio di trasmettere SARS-CoV-2, ma soprattutto quale effetto comporterà la diffusione di nuove varianti virali.   

Relazione fra infezione e trasmissione

Il punto da chiarire riguarda il rapporto fra infezione e trasmissione del virus. Questo rapporto riguarda tutte le malattie infettive, e consiste nello stabilire il tipo di relazione che si instaura fra il virus e l’ospite. Quotidianamente si entra in contatto con milioni di virus patogeni per l’uomo. Nella maggior parte dei casi, le nostre difese immunitarie riescono facilmente a “ripulire” l’organismo da intrusi, prima che questi attecchiscano e causino una patologia. Questo meccanismo di difesa, allo stesso tempo, riduce o annulla il rischio di trasmettere l’agente patogeno ad altri individui. Quando ciò non avviene, i virus patogeni per l’uomo, come il SARS-CoV2, entrano nell’organismo ospite, si replicano, alterano lo stato di salute con sintomi più o meno gravi (come il COVID-19), e si diffondono nell’ambiente esterno, con varie percentuali di trasmissione. La carica virale riflette la capacità replicativa di un virus patogeno all’interno dell’organismo ospite e rappresenta un fattore cruciale affinché il virus superi le difese immunitarie, causi uno stato patologico e si trasmetta ad altri individui. I virus o le varianti virali che hanno sviluppato sistemi di replicazione efficaci hanno una maggiore probabilità di essere più infettivi e patogenici negli ospiti naturali, e quindi hanno un vantaggio evolutivo e di trasmissibilità maggiore rispetto ad altri virus/varianti. SARS-CoV-2 ha sconcertato e allarmato la comunità scientifica e non solo, proprio per la sua capacità di accumulare velocemente delle mutazioni ai sistemi di infezione o replicazione che hanno comportato la generazione di varianti virali.

Obiettivo dei vaccini

Lo sviluppo dei vaccini contro SARS-CoV-2 ha rappresentato sicuramente un enorme successo biotecnologico, su cui sono disponibili vari approfondimenti (leggi anche: Qual è l’ingrediente segreto nei vaccini di Pfizer e Moderna? e, La corsa al vaccino vincente: approcci e tecnologie a confronto). In teoria, un vaccino si definisce altamente efficace quando è in grado di prevenire l’infezione nei soggetti vaccinati e immunizzati, e in aggiunta, ridurre anche il rischio di trasmissione dell’agente patogeno. Nonostante numerosi studi clinici hanno dimostrato che i vaccini disponibili sono in grado di prevenire il COVID-19, altri più recenti hanno invece mostrato come fossero anche in grado di prevenire la trasmissione dell’infezione. Un recente studio ha analizzato l’effetto della vaccinazione su una coorte di individui risultati positivi a SARS-CoV-2 che avevano ricevuto due dosi del vaccino BNT162b2 a mRNA di Pfizer/BioNTech rispetto ad un gruppo di controllo di pazienti non vaccinati. Questo studio ha riscontrato che la carica virale è 4 volte inferiore nei soggetti che venivano contagiati 12-28 giorni dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino, rispetto ai non vaccinati (Figura 1a, 1b, 1c). Questa carica virale ridotta implica una minore infettività ed un minore rischio di sviluppare sintomi più gravi. I dati iniziali rilasciati dalle aziende farmaceutiche, garantivano una efficacia del 95% nel prevenire l’infezione a partire da 7 giorni dopo la seconda dose, ed una protezione parziale a partire da 12 giorni dalla prima dose. I dati dello studio menzionato avvalorano ulteriormente l’efficacia del vaccino anche nel limitare la diffusione dei contagi.

Figura 1a. Confronto fra cariche virali in soggetti positivi con vaccino (linea blu), e senza vaccino (linea gialla). Nel periodo da 1 a 11 giorni dopo la prima dose, l’effetto protettivo del vaccino non è dintiguibile rispetto ai soggetti non vaccinati. La carica virale rilevata dai test molecolari (Ct value) ha un trend simile nei due gruppi per tutto il decorso dell’infezione. Il Ct value minimo (15) indica una carica virale alta. Il Ct value massimo (36) indica una carica virale bassa. (n. individui =1755).
Figura 1b. Nel periodo da 12 a 28 giorni dopo la prima dose, l’effetto protettivo del vaccino è riscontrabile dal trend degli individui vaccinati (linea blu) rispetto ai non-vaccinati (linea gialla). Nei soggetti vaccinati la carica virale media rilevata dai test molecolari è inferiore rispetto ai non vaccinati. (n. individui=1142)
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FIgura 1c. Carica virale di SARS-CoV-2 inferiore dopo 12 giorni dalla prima dose di vaccino. I dati mostrano la carica virale media rilevata dai test molecolari (Ct value) nei soggetti vaccinati e positivi al virus. Il vaccino sviluppa un effetto protettivo a partire da 12-28 giorni dalla prima dose.

È possibile che la vaccinazione non possa evitare totalmente le chance di infezione da SARS-CoV-2, ma è stato visto che è in grado di rendere i soggetti infetti meno contagiosi rispetto ai non vaccinati, e quindi di limitare la trasmissione del virus. Altri studi sono in corso, e a breve potremo confrontare i dati.

Per quanto riguarda le varianti del virus?

Ormai siamo tutti a conoscenza del fatto che il SARS-CoV-2 accumula mutazioni e che sono già da tempo in circolo delle varianti. Un altro studio ha evidenziato come gli individui infetti con la variante Delta del virus sono meno contagiosi e si negativizzano più velocemente se hanno già ricevuto un ciclo completo di vaccinazione Pfizer/BioNTech, rispetto agli individui non vaccinati. Anche se è stato visto che questo effetto protettivo si riduce nel tempo, rispetto alla variante Alpha dalla quale sono stati sviluppati e testati inizialmente i vaccini. Purtroppo, la variante Delta si sta diffondendo velocemente a livello mondiale e questo potrebbe spiegare il motivo per cui si assiste ad un aumento della sua trasmissione nonostante il crescente numero delle vaccinazioni. Un altro fenomeno appena riportato dalla OMS riguarda la diffusione della nuova variante Omicron, documentata per la prima volta in Sud Africa lo scorso 24 Novembre. In questa variante sono state evidenziate un esteso numero di mutazioni, alcune della quali hanno suscitato una notevole preoccupazione, poiché potrebbero indicare un aumentato rischio di reinfezione e di elusione della risposta immunitaria stimolata dagli attuali vaccini disponibili. Ulteriori dati sono necessari per capire appieno i meccanismi protettivi del vaccino, soprattutto per quanto concerne la possibilità di integrare una terza dose di richiamo nel ciclo vaccinale.

 

Figura 4. Variante Omicron. Le diverse mutazioni sono così mostrate: i cerchi rossi indicano le aree ad altissima variabilità, quelli arancioni ad alta variabilità, quelli gialli a media variabilità, quelli verdi a bassa, e quelli celesti a scarsa variabilità. La zona grigia non tende a variare all’interno della struttura della proteina Spike di SARS-CoV-2.
Conclusioni

Dai dati disponibili possiamo concludere che la carica virale è un fattore trainante la trasmissione di SARS-CoV-2, oltre ad essere altamente correlata al decorso dell’infezione. Le forme sintomatiche di COVID-19 sono tendenzialmente associate ad un tempo di incubazione minore, una carica virale più alta e ad una maggiore infettività. Numerose ricerche sono ancora in corso per decifrare l’efficacia e l’effetto a lungo termine delle vaccinazioni in questo scenario. Ad oggi, sappiamo che il vaccino rappresenta uno strumento efficace e sicuro per ridurre drasticamente la gravità dei sintomi, i tassi di mortalità e il rischio di trasmissione del virus. Come abbiamo appreso di recente con la diffusione della nuova variante Omicron, le dinamiche della pandemia sono in continua evoluzione, così come la capacità delle menti scientifiche di apportare innovazione e soluzioni lì dove altri vedono scetticismo. Per cui deve essere ancora più forte il messaggio di condividere la fiducia nelle scienze mediche e non mediatiche, in attesa di nuovi risultati incoraggianti!

Moderna Announces Strategy to Address Omicron (B.1.1.529) SARS-CoV-2 Variant:
1. Testing three existing COVID-19 vaccine booster candidates against the Omicron variant.
2. Announcing a new variant-specific vaccine candidate against Omicron (mRNA-1273.529.

Source: Moderna, Inc. Press Releases November 26, 2021.
Bibliografia
  1. https://www.nature.com/articles/d41586-021-02275-2
  2. https://doi.org/10.1038/d41586-021-02689-y
  3. Levine-Tiefenbrun, M. et al. Preprint at medRxiv https://doi.org/10.1101/2021.02.06.21251283 (2021).
  4. Marks, M. et al. Lancet Infect. Dis. https://doi.org/10.1016/S1473-3099(20)30985-3 (2021).
  5. https://www.nature.com/articles/d41586-021-03552-w?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=d1f63b83a9-briefing-wk-20211126&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-d1f63b83a9-42148423
  6. https://www.who.int/news/item/26-11-2021-classification-of-omicron-(b.1.1.529)-sars-cov-2-variant-of-concern
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