di Domenico Gangemi, Antonino Napoleone, Giuseppe Scarlata | 4 Maggio 2020

Intervista al signor S.C.

In questo estratto è riportata l’intervista al signor S.C., di 45 anni, guarito da COVID-19. Prima dell’intervista, il paziente ha fornito il suo consenso informato per l’acquisizione dei dati sensibili. L’intervista verrà riportata integralmente in forma anonima.

Il paziente è stato dimesso dal Policlinico San Matteo di Pavia e trasferito per la prosecuzione delle cure presso un Istituto locale dove è avvenuta l’intervista.

Durante il ricovero nel reparto COVID-19, il paziente è stato sottoposto a diversi giorni di ventilazione meccanica non invasiva in modalità CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) che consente di erogare ossigeno al paziente a pressione positiva, permettendo un’adeguata ventilazione polmonare.

L’obiettivo dell’intervista è meramente narrativo-descrittivo: viene allestito un ambiente intimo ed evocativo, dove ripercorrendo la storia clinica del paziente, vengono illustrate attraverso un percorso crescente i sentimenti, le paure e le emozioni provate durante tutto il periodo di malattia.

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  • Inizio col chiederle: quali sono stati i primi sintomi che ha accusato?

Ho iniziato ad accusare i primi sintomi il 9 marzo. In quei giorni ero in ferie (lavoro in un panificio). Tutto è iniziato con febbre a 38 °C. Pian piano la febbre ha iniziato ad aumentare fino ad arrivare a 39,5 °C.  A quel punto ho chiamato il 112, ma per due giorni consecutivi non è stata inviata alcuna ambulanza a casa mia.

  • Ha avuto altri sintomi?

Dolore al petto, una sensazione di bruciore, soprattutto quando tossivo. Ho avuto anche vomito e, quando sono andato in farmacia a prendere le medicine, sono anche svenuto. Uno dei miei due figli era lì con me e mi ha riportato a casa in auto. Da quel momento in casa ci siamo tutti molto preoccupati: sentivamo la necessità assoluta che io andassi in ospedale perché ciò che mi stava accadendo non era normale. A questo punto abbiamo nuovamente chiamato il 112, dicendo al telefono che, se non fossero venuti a prendermi, sarei andato in ospedale con la mia auto. Al telefono mi hanno detto che recarsi al Pronto Soccorso con mezzo proprio era vietato, era contro la legge e hanno continuato a rifiutarsi di venirmi a prendere.

  • Perché pensa che il 112 si sia rifiutato di venire in suo soccorso?

Non lo so ma non sono venuti a prendermi, forse aspettavano che le mie condizioni peggiorassero…

  • Com’è arrivato ad avere la diagnosi di COVID-19?

L’11 marzo mi sono recato da solo al Pronto Soccorso del Policlinico San Matteo. So che non avrei potuto farlo, ma non avevo altra scelta. Sono stato sottoposto a radiografia torace ed esami del sangue, tutti compatibili con COVID-19.

  • Ha avuto necessità di essere ricoverato in Terapia Intensiva?

No. Dopo 2 giorni in pronto Soccorso, il 13 marzo mi hanno ricoverato nel reparto dedicato ai pazienti meno critici, che avevano bisogno di minore assistenza respiratoria ma che comunque necessitavano di ossigeno. Fino al 16 marzo le mie condizioni erano migliorate molto. Il tampone è stato ripetuto proprio il 17 marzo ed è risultato di nuovo positivo. È allora che i medici hanno deciso di spostarmi in un altro reparto.

  • Che differenza c’era con il suo reparto di provenienza?

Questo reparto era dedicato ai pazienti in via di guarigione senza ossigeno, o almeno così era inizialmente. Successivamente molti, me compreso, si sono complicati.

  • Cos’è successo dopo? 

Il 18 aprile sono nuovamente peggiorato: in particolare ho avuto un fortissimo dolore al petto, soprattutto a destra, la tosse si è aggravata e ho avuto sempre più necessità di ossigeno.  Sono stato sottoposto in urgenza ad una TC del torace e hanno trovato un’embolia polmonare, per la quale hanno iniziato subito a trattarmi.

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Nel prosieguo del ricovero il signor S.C. è stato trattato con anticoagulante ad alto dosaggio per sciogliere i trombi presenti a livello delle arterie polmonari ed è stato sottoposto a ventilazione meccanica non invasiva tramite modalità CPAP.

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  • Quando ha avuto il sospetto di essere stato contagiato, ha avuto paura? Cosa le è passato per la mente all’inizio?

Inizialmente io non sapevo cosa avessi, quando ero a casa pensavo di avere una banale influenza.

  • E una volta avuta la certezza di essere stato infettato?

Neanche in quel momento ero molto spaventato, pensavo che ce l’avrei fatta a guarire.

  • Neanche quando le sue condizioni sono peggiorate?

Si, in quel momento si.

  • Cosa ha avuto timore di lasciare qualora non fosse guarito?

Ho avuto paura di lasciare troppe cose in sospeso, una su tutte la costruzione della mia casa, ma soprattutto di non poter più avere la possibilità di riabbracciare mia moglie, con cui sono sposato da 25 anni e il fatto di non poter vedere i miei figli da sposati, visto che sono ancora giovani.

  • Non poter riconoscere i volti dei sanitari, dietro maschere e tute, le ha fatto percepire un maggior distacco da parte loro a livello umano nei suoi confronti? Che differenze ha percepito nel rapporto con i medici rispetto ad una normale visita in ambulatorio?

Loro sono stati bravissimi, mi hanno accolto come un figlio o un fratello. Io mi sono sentito più accudito, più assistito rispetto a quando sono stato sottoposto a fare una comune visita in ambulatorio. Ero controllato nell’arco dell’intera giornata, i medici e gli infermieri erano sempre sul posto.

  • Come pensa di aver contratto l’infezione?

Da mia moglie. La dinamica è stata fin troppo chiara. Mia moglie lavora in una casa di riposo vicino Pavia. Qualche giorno prima che io avessi la febbre, ha ricevuto una telefonata mentre era a casa: le hanno detto che doveva stare attenta perché nella casa di Cura c’era stato un caso positivo con cui era stato a contatto qualche giorno prima. Il 9 marzo, stesso giorno in cui ho sviluppato i sintomi, lei ha sviluppato gli stessi sintomi. D’altro canto noi abbiamo tenuto un comportamento esemplare e siamo stati molto prudenti prima di essere stati infettati: ben prima dello sviluppo dei primi casi in Italia, sentendo le notizie provenienti dalla Cina abbiamo iniziato a limitare i contatti con amici e parenti.

  • In seguito al riscontro di questo caso positivo, che provvedimenti si è pensato di prendere nella casa di cura? I gestori hanno pensato di chiudere?

No, anzi hanno fatto finta di nulla, ma come un po’ dappertutto.

  • Però non è bastato…

Non è bastato perché hanno persino detto a mia moglie e al personale di non indossare le mascherine (che tra l’altro non erano neanche in numero sufficiente) perché in tal modo si rischiava di spaventare gli anziani residenti. Insomma, per non creare terrorismo, si sono infettati tutti.

  • Si ricorda precisamente in che giorno sua moglie ha avuto il contatto con il paziente positivo in casa di riposo?

Due giorni prima che avessimo la febbre, quindi il 2 marzo. Nel giorno stesso in cui ho avuto la febbre, l’ha sviluppata lei con i primi sintomi respiratori annessi. Nello stesso giorno in cui sono stato accompagnato da mio figlio in Pronto Soccorso, ci è andata anche lei, da sola, ed è stata sottoposta al tampone che è risultato positivo. Alla fine è stata ricoverata nello stesso mio reparto, quello dei degenti in via di guarigione. Per questo non ho dubbi sul modo in cui ho contratto l’infezione.

  • E adesso come sta sua moglie?

Per fortuna bene, in realtà lei da quel reparto è stata dimessa prima di me. Quando è andata via ha pianto, non voleva lasciarmi lì da solo. Anche se non era permesso uscire dalla stanza, sapere che il tuo compagno è in quella accanto è sempre di conforto.

  • Quando era in reparto, ha potuto sentire o vedere sua moglie e i suoi figli?

Si, con il cellulare. In reparto era tutto contaminato ma noi pulivamo tutto con l’igienizzante in modo quasi spasmodico.

  • Quando indossava il casco della CPAP li ha visti in videochiamata?

No, ho parlato con loro solo vocalmente. Mi sono fatto solo due foto ma quelle le tengo per me (sorride ndr.).

  • Com’è cambiato il ricovero da quando ha dovuto indossare il casco? 

Avevo un fastidio grandissimo, soprattutto quando scendeva la febbre con la tachipirina perché sudavo e avvertivo un senso di strozzamento in gola. Ovviamente non potevo toglierla per asciugare il sudore. Il fastidio più grande però era il rumore della macchina per la ventilazione durante la notte. Il rumore inizialmente non mi consentiva di dormire, successivamente però mi ci sono abituato. Un altro fastidio era mentre indossavo il casco la necessità di alimentarmi tramite sondino nasogastrico.

  • Per quanto tempo ha tenuto il casco?

Per sei giorni e sei notti, sono stati lunghissimi. Quando è stata sospesa la CPAP, è stato bellissimo poter riprendere ad alimentarmi normalmente in assenza di sondino. Gradualmente i medici hanno sospeso l’ossigeno fino al trasferimento in questo Istituto.

  • Si sentiva a disagio con gli altri pazienti in camera o percepiva di avere una sua privacy?

In realtà ho avuto la mia privacy perché le condizioni del mio vicino di letto durante il ricovero sono peggiorate e, ad un certo punto, non era più cosciente. Era un signore anziano: dopo un paio di giorni che ho tolto il casco, lui purtroppo non ce l’ha fatta. In un secondo momento nella mia camera è arrivato un altro paziente in gravi condizioni. Quando mi hanno dimesso, lui era ancora lì.

  • Come passava il tempo quando era ricoverato in reparto COVID? Era informato su quello che l’Italia stava vivendo in quei giorni?

Trascorrevo le mie giornate soprattutto stando al telefono. Non avevo la televisione in stanza. Gli operatori sanitari però mi portavano giornali e riviste. Ero aggiornato quindi su tutto ciò che stava succedendo.

  • Adesso le faccio un’ultima domanda, forse un po’ banale ma per me importante. Cosa le manca di più della libertà e della quotidianità che aveva prima?

Mi piacerebbe finire di costruire la mia casa. Adesso sarà un po’ più difficile per le ristrettezze economiche cui siamo andati incontro in questo periodo e perché non posso farmi aiutare da nessuno, visto che bisogna rispettare le distanze sociali.

  • La ringrazio molto.

Posso fargliela io una domanda?

  • Certo.

Perché mi ha fatto quest’ultima domanda? Cosa ha capito dalla mia risposta di voler costruire la mia casa?

  • Volevo capire quale valore dà alla libertà. Dalla risposta che mi ha dato, ho capito che per lei la libertà ha una grande importanza.

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Visual by Filippo Toscano