di Giuseppe Scarlata, Antonino Napoleone, Domenico Gangemi | 17 Luglio 2020
L’attuale pandemia è sempre al centro di infiniti dibattiti; se ne discute da più di sette mesi e probabilmente se ne continuerà a discutere ancora per molto. Nonostante le varie prese di posizione soprattutto da svariati ed opposti fronti in cui sono stati coinvolti politici, medici, biologi, ma anche comuni cittadini, si continua a fare fatica a trovare una linea unilaterale che possa far convergere e allineare l’opinione pubblica alla scienza. In un continuo e variegato via vai di opinioni, false notizie e colpe arbitrariamente affibbiate, i massimi esperti della sanità internazionale sono stati interpellati dai mass-media circa le tempistiche e la possibilità di distribuire un potenziale vaccino atto a scongiurare la pandemia già entro la fine dell’anno (per approfondire “la corsa al vaccino vincente”). Un recente articolo pubblicato sulla rivista The Lancet dal titolo “Prevalenza di SARS-CoV-2 in Spagna (ENE-COVID): uno studio siero-epidemiologico su scala nazionale, basato sulla popolazione” ha smosso però gli animi di esperti quali il Prof. Roberto Burioni (professore di Virologia e Microbiologia presso l’Università San Raffaele di Milano) e il Dr. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Entrambi, chi prima, chi dopo, non hanno avuto perplessità nel dichiarare che servirà necessariamente il vaccino per raggiungere la tanto ambita immunità di gregge contro COVID-19.
Cos’è l’immunità di gregge?
L’immunità di gregge è un concetto coniato in origine quasi un secolo fa, che ha però trovato grande riscontro nella comunità scientifica soltanto negli ultimi decenni soprattutto in concomitanza con argomentazioni quali vaccini e tutto ciò che concerne l’ambito della prevenzione (eradicazione di malattie infettive, analisi costi-benefici sul sistema sanitario, programmi nazionali di vaccinazione). L’immunità di gregge rappresenta quindi un importante concetto nella gestione delle malattie infettive in relazione alla popolazione. Il fenomeno può essere facilmente spiegato come una forma di protezione indiretta da una malattia infettiva. Questa protezione si verifica quando un sufficiente numero di individui all’interno di una popolazione acquisisce l’immunità contro un agente patogeno, tale che la trasmissione del patogeno stesso rallenta fino ad essere completamente ridotta. Questo avviene perché l’agente patogeno avrà meno individui a disposizione da infettare poiché in teoria, più aumenta il numero di individui immuni, e più si riduce il bacino di soggetti ancora suscettibili ad essere infettati dal patogeno stesso (Figura 1). L’efficacia e la possibilità di raggiungere l’immunità di gregge dipende largamente dalla forza e dalla durata della risposta immunitaria in seguito ad un’infezione, la cosiddetta “memoria del sistema immunitario”. Per agenti patogeni in cui si sviluppa una risposta immunitaria duratura, come avviene per il morbillo, sia la vaccinazione che la guarigione naturale garantiscono un’immunità che può durare per tutta la vita, fenomeno che ad esempio non avviene nel caso del virus dell’influenza.

Per diventare immuni, i meccanismi sono essenzialmente due:
- La vaccinazione (che può procurare una protezione più o meno duratura, a seconda del tipo di vaccino e del tipo di patogeno);
- La guarigione alla stessa infezione con relativa produzione di anticorpi neutralizzanti e immunità della memoria (dopo quanto si sviluppano anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2?).
Nel primo caso numerosi progetti sono in fase di sperimentazione per verificare la sicurezza e la durata della protezione di un vaccino efficace contro SARS-CoV-2. Chiaramente nel secondo caso, non basta esporre chi è già entrato in contatto e guarito dal SARS-CoV-2 (o magari anche individui asintomatici) in modo che si ottenga l’immunità di gregge nella maggior parte della popolazione. Un approccio del genere svincolato da altre pratiche risolutive di prevenzione o protezione individuale, potrebbe far correre il rischio di incrementare in modo incontrollato la diffusione dell’agente patogeno. Infatti si è visto come scelte del genere hanno fatto discutere e non hanno portato ai risultati sperati; esempi lampanti sono stati gli Stati Uniti, il Brasile, Il Regno Unito e la Svezia, i cui governi sono stati pionieri del concetto di immunità di gregge attraverso la libera circolazione del virus e dei guariti fra la popolazione, facendone il loro caposaldo nella gestione della pandemia in controtendenza al resto dei governi internazionali. Soprattutto visto e considerato che ancora non sono stati del tutto messi in chiaro dagli scienziati i meccanismi immunitari dietro l’infezione da COVID-19, le conseguenze non sono tardate ad arrivare: il Brasile da giorni ha il più alto numero di decessi giornalieri e il 9 Luglio è stato definito come il “giorno nero” degli Stati Uniti con oltre sessantamila contagi in meno di 24 ore, a dimostrazione che il virus senza le dovute misure di precauzione non rallenta, anzi, è fuori controllo.
Il nuovo studio su The Lancet
Il lavoro condotto dal team della Prof.ssa Marina Pollàn è un’indagine circa la sieroprevalenza della popolazione spagnola, intendendo per sieroprevalenza il numero di persone che avendo già contratto l’infezione presentano nel loro sangue specifici anticorpi. Indagini del genere non sono nuove nel mondo della microbiologia e dell’epidemiologia e sono di fondamentale importanza. Nello studio, sono state selezionate più famiglie usando un campionamento randomizzato. Nel periodo che intercorre tra il 27 Aprile e l’11 Maggio 2020, 61075 (il 75% di tutti gli individui contattati all’interno delle famiglie selezionate) ha risposto a un questionario sui possibili fattori di rischio e la sintomatologia relativa al COVID-19, acconsentendo poi a sottoporsi a test sierologici specifici quali il test rapido in immunocromatografia (ICG) e a un prelievo di sangue per la determinazione anticorpale di Immunoglobuline G (IgG) tramite chemiluminescenza (CLIA) [per saperne di più su come funzionano i test sierologici]. La sieroprevalenza calcolata è stata solamente del 5% per quanto riguarda il test rapido e del 4,6% con il test in chemiluminescenza. Chiaramente, vista la maggior esposizione al patogeno della popolazione a rischio, la sieroprevalenza aumentava con l’età e gli operatori socio-sanitari risultavano essere la categoria che maggiormente presentava anticorpi IgG anti-SARS-CoV-2. Un terzo dei partecipanti sieropositivi era asintomatico, con una percentuale compresa tra il 21,9% e il 35,8%, mentre solo il 19,5% dei sintomatici sieropositivi a entrambi i test ha riportato uno storico di test molecolare tramite Real-Time Polymerase Chain Reaction (RT-PCR). Inoltre, la variabilità geografica è stata notevole e ha presentato una prevalenza più alta intorno a Madrid (<10%) (Figura 2).




Figure 2: Seroprevalence of SARS-CoV-2 by province by the point-of-care test and immunoassay.
Lo studio quindi smentisce la possibilità di raggiungere un’immunità di gregge senza un adeguato vaccino, affermando che nonostante l’impatto della malattia in Spagna sia elevato, la sieroprevalenza è così bassa da non poter garantire la così detta immunità di gregge. Il rischio di basare approcci e strategie future su questa convinzione, senza ulteriori approfondimenti da parte degli scienziati, sarebbe, ancora una volta, il sovraccarico dei sistemi di sanitari nazionali. Quindi l’unica strada percorribile in attesa di un vaccino o di una terapia farmacologica efficace, è quella del distanziamento sociale, del contact tracing tramite app e del buon senso generale. Condividiamo la fiducia nelle scienze mediche e non mediatiche, per arginare tutto questo serve la collaborazione da parte di tutti.
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- Pollán, M., Pérez-Gómez, B., Pastor-Barriuso, R., Oteo, J., Hernán, M. A., Pérez-Olmeda, M., Sanmartín, J. L., Fernández-García, A., Cruz, I., Fernández de Larrea, N., Molina, M., Rodríguez-Cabrera, F., Martín, M., Merino-Amador, P., León Paniagua, J., Muñoz-Montalvo, J. F., Blanco, F., Yotti, R., & ENE-COVID Study Group. (2020). Prevalence of SARS-CoV-2 in Spain (ENE-COVID): a nationwide, population-based seroepidemiological study. Lancet (London, England), 6736(20), 1–11. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)31483-5
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