di Giuseppe Scarlata, Antonino Napoleone, Domenico Gangemi | 28 Giugno 2020
Gli effetti della pandemia hanno investito e interessato variegati aspetti della società, mettendo in discussione antiquate e stratificate convinzioni su modelli di gestione sanitaria e politica, risultati inadeguati e sicuramente in molti casi non risolutivi. I ricercatori sono in gara contro il tempo per risolvere gli enigmi e svelare tutte le connessioni scientifiche dietro la diffusione di SARS-CoV-2. Gli effetti hanno interessato tutti gli strati sociali, in modo diretto e indiretto, sia dal punto di vista socio-sanitario che dal punto di vista psicologico (per approfondire l’effetto del lockdown sulla psiche). In data 27 giugno 2020, solamente negli Stati Uniti sono stati ufficializzati 2.553.686 casi e secondo l’ultimo report del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), 116.413 dei contagiati sono pazienti pediatrici (Figura 1). I dati e l’andamento clinico riguardanti la popolazione adulta e anziana sono stati avvalorati da numerosi studi scientifici, che hanno messo in luce diversi meccanismi fisiopatologici dietro l’infezione nelle categorie più colpite. Riguardo i bambini invece, si nutrono ancora diversi dubbi circa la loro correlazione con l’infezione da Coronavirus. Si è ancora lontani dall’ascrivere Coronavirus Infectious Disease 19 (COVID-19) fra le più comuni malattie infantili come quelle esantematiche, quali morbillo, varicella, rosolia, scarlattina, mani-piedi-bocca ma è interessante andare a capire e rispondere a diversi quesiti ultimamente saltati all’occhio. Come mai l’infezione è meno contagiosa nei bambini? Come mai nella maggior parte dei casi si ha una lieve o assente sintomatologia? In gravidanza SARS-CoV-2 è trasmissibile dalla madre al figlio?

Stiamo parlando di una categoria a rischio?
Il Centers for Disease Control and Prevention definisce come categorie a rischio di forme severe legate al COVID-19 soggetti anziani (> 65 anni di età), coloro che vivono in una casa di cura o in una struttura di assistenza a lungo termine e soggetti di tutte le età che presentano comorbilità quali:
- malattia polmonare cronica o asma da moderato a grave;
- problemi cardiovascolari;
- ipertensione
- sistema immunitario compromesso;
- obesità grave;
- diabete mellito;
- sindromi renali;
- malattie epatiche.
I bambini non sono dunque considerati una categoria a rischio.
Questo come si traduce dal punto di vista clinico?
Studi recenti riportano come i bambini presentino sintomi lievi piuttosto comuni come febbre (41,5%) e tosse (48,5%); altri sintomi includono affaticamento, mialgia, nausea, vomito e diarrea. Non sono però da escludere sintomi gravi. Il primo caso grave di infezione infantile è stato segnalato il 27 gennaio 2020 a Wuhan: un bambino di 13 mesi giunto all’attenzione dei sanitari, presentava vomito e diarrea inizialmente frequenti, che rapidamente si sono evoluti in sintomi acuti tra cui mancanza di respiro, oliguria (diminuita escrezione urinaria, dovuta a disfunzioni dell’apparato urinario), solamente sei giorni dopo, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), shock settico e insufficienza renale acuta. In questo caso non erano presenti comorbidità.
C’è un legame fra Coronavirus e Sindrome di Kawasaki nei bambini?
Anche in Italia sono pervenute segnalazioni interessanti, analizzate e pubblicate di recente sulla rivista The Lancet: nel reparto di pediatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è stata riscontrata un’incidenza di trenta volta superiore di Sindrome di Kawasaki dopo positività al COVID-19. Si tratta di una rara forma di vasculite, che causa un’infiammazione dei vasi sanguigni di piccolo e medio calibro a livello sistemico, e che colpisce prevalentemente i bambini di età tra 1 e a 5 anni. Questa sindrome si caratterizza per il frequente interessamento miocardico e/o gastrointestinale e sono inoltre presenti febbre elevata (≥38°C), segni di shock, dolori addominali, ma non sembra essere presente la polmonite interstiziale tipica del COVID-19 (Figura 2). L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si è espresso sottolineando come, pur in assenza di una definizione di caso condivisa a livello europeo, sia possibile correlare l’infezione da SARS-CoV-2 e la Sindrome di Kawasaki, seppur con numerosi limiti.




Figure 2. Diffuse rash appearing mildly erythematous with blanching macules and patches involving the trunk and extremities.
Come si spiega la minore prevalenza di infezione nei bambini?
Sono in corso diversi studi ma di recente è stato visto come una motivazione potrebbe essere legata all’enzima di conversione dell’angiotensina-2 (ACE2) che favorisce l’ingresso del SARS-CoV-2 nella cellula bersaglio permettendone l’ancoraggio e la successiva penetrazione. Un recente studio pubblicato sulla rivista medica JAMA infatti ha evidenziato come l’espressione di ACE2 a livello delle cellule epiteliali nasali sia “età-dipendente”: cioè è stato visto come questo recettore sia meno espresso nei bambini, ma più presente negli adulti, poiché la sua espressione aumenta con l’avanzare dell’età, rendendo gli individui di età adulta più suscettibili a contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 (Figura 3).




Data are means (data points) and 95% confidence intervals (error bars) for angiotensin-converting enzyme 2 (ACE2) gene expression in younger children (aged <10 years), older children (aged 10-17 years), young adults (aged 18-24 years), and adults (aged ≥25 years). Gene counts are shown as logarithmic (log2) counts per million. P values are from linear regression modeling in which ACE2 gene expression in log2 counts per million was the dependent variable and age group was the independent variable.
Donne in gravidanza e neonati
Le caratteristiche cliniche delle donne in gravidanza affette da COVID-19 sembrano essere simili a quelle riportate in pazienti adulte non in gravidanza. Recenti studi si sono focalizzati sulla possibile trasmissione verticale (cioè dalla madre al figlio) dell’infezione rilevando la presenza di anticorpi di classe M (IgM) contro SARS-CoV-2 nel siero dei neonati. Durante la gravidanza infatti, la mamma è in grado di trasferire i propri anticorpi al feto attraverso la placenta, per offrire un certo livello di protezione immunitaria al nascituro nei primi mesi di vita. Gli unici anticorpi trasferibili per via placentare appartengono alla classe G (IgG), e la presenza di IgM nel siero dei neonati lascerebbe presagire una possibile trasmissione dell’infezione intrauterina (ruolo delle IgG e IgM nella risposta immunitaria contro le infezioni). Quindi se la madre non trasferisce le IgM al feto, allora la spiegazione potrebbe essere che SARS-CoV-2 è in grado di attraversare la placenta e il neonato inizia a produrre IgM come prima forma di difesa all’infezione. Dall’altro lato però, nessuno dei neonati presi in esame è tuttavia mai risultato positivo ai tamponi e ai test diagnostici eseguiti alla nascita e ripetuti fino a 16 giorni dal parto. Lo studio e i test sugli anticorpi (test sierologici) sono uno strumento importantissimo per capire l’andamento di un’infezione e che tipo di risposta innesca il sistema immunitario per difendersi. Sarebbe interessante capire più nel dettaglio che tipo di risposta immunitaria innescano i neonati contro SARS-CoV-2 e soprattutto che differenze si riscontrano rispetto ad altre malattie pediatriche. Di certo sono necessari ulteriori studi, ma è comprovato che dopo il parto persistano le stesse modalità di contagio sia nell’adulto che nel bambino e secondariamente che SARS-CoV-2 sia in grado di attraversare la placenta ed essere trasmesso al feto per via intrauterina. Infatti si sta valutando la possibilità di inserire il SARS-CoV-2 nel complesso TORCH, raccolta di infezioni che possono dare malattia nel neonato a seguito di un’acquisizione transplacentare o perinatale e che include Toxoplasma gondii, Rubella virus (virus della Rosolia), Citomegalovirus, Herpes Simplex Virus.
In conclusione
Nonostante ci sia parecchio da indagare riguardo i meccanismi di infezione nei bambini e durante la gravidanza, si può certamente dire che i dati attuali siano piuttosto rilevanti. Prevenire il contagio è importante tanto per l’adulto, quanto per il bambino, adottando le corrette misure di prevenzione e di distanziamento sociale e perché no, anche informando correttamente i bambini su cosa sta accadendo. Anche se solitamente nei bambini l’infezione si presenta in modo lieve o asintomatico, bisogna comunque considerarli potenziale fonte di trasmissione del virus ad adulti, anziani ed altri bambini. La verità è che non sappiamo per certo cosa accadrà nei prossimi mesi, se la “seconda ondata” sarà più o meno violenta, tuttavia è prioritario tutelare e sostenere i bambini e le donne in gravidanza, offrendo il massimo sostegno e consulenza per limitare paure, insicurezze e possibili conseguenze. Un altro argomento piuttosto dibattuto attualmente riguarda la riapertura delle scuole per il prossimo anno scolastico e quali misure di prevenzione adottare. Dopo aver svolto la metà dell’anno scolastico con lezioni ed esami in modalità telematica è lecito interrogarsi ed esser preoccupati su quello che accadrà nei prossimi mesi. Questo deve spingere a prendere decisioni ponderate e sostenute da valutazioni tecnico-scientifiche sia in ambito ostetrico che in ambito pediatrico e scolastico. Condividiamo la fiducia nelle scienze mediche e non mediatiche, per arginare tutto questo serve guardare al futuro dando priorità e investendo nelle cause importanti.
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