di Domenico Gangemi, Antonino Napoleone, Giuseppe Scarlata | 3 Luglio 2020
Negli ultimi anni i sistemi sanitari occidentali, pur a fronte di progressive ristrettezze economiche, hanno garantito efficacemente ed estensivamente con i mezzi a disposizione (e lo fanno tutt’oggi) la cura di patologie acute, e tra tutte soprattutto quelle infettive. L’allungamento della vita media ha comportato inevitabilmente un incremento della prevalenza di patologie croniche come quelle cardiovascolari, oncologiche e metaboliche. Tra queste ultime si trova il diabete mellito, in particolare quello di tipo 2, definito di tipo alimentare perché conseguente ad una dieta ricca in zuccheri semplici e grassi (anche se è documentata una importante suscettibilità genetica al suo sviluppo). Il diabete mellito è una patologia complessa: il danno metabolico indotto dall’iperglicemia fa del diabete, a causa delle complicanze che l’iperglicemia stessa comporta, una patologia multiorgano. Gli organi più colpiti sono il cuore, i grandi e i piccoli vasi sanguigni, il rene, l’occhio, il sistema nervoso, il fegato.
La tempesta citochinica
Non meno importante è il coinvolgimento del sistema immunitario, la cui principale funzione è difenderci dalle infezioni. Dopo essere stato contratto per via aerea, il Coronavirus arriva alle vie respiratorie dove il sistema immunitario deve iniziare a contrastare la replicazione virale. In assenza di un iniziale meccanismo ‘barriera’ a questo livello, il virus è libero di fare il suo ingresso nel circolo sanguigno. Si passa quindi alla fase viremica della malattia, dove il virus si moltiplica e può invadere tutto l’organismo, ancor più facilmente in individui immunodepressi. A questo punto si arriva alla fase tardiva della malattia in cui può scaturire la cosiddetta tempesta citochinica, una reazione immunitaria in cui le cellule dell’infiammazione reagiscono in modo eccessivo producendo segnali chimici che risultano dannosi, oltre che per le cellule infettate dal virus, anche per il nostro stesso organismo. Questa fase, se non viene fronteggiata con terapie efficaci, può danneggiare gravemente organi ed apparati, portando anche alla morte. Questo avviene particolarmente in persone affette da altre patologie croniche, tra cui il diabete.
Da ciò si comprende come sia necessario che il sistema immunitario si attivi rapidamente per contrastare l’infezione, ma al contempo una reazione immunitaria iper-stimolata e non controllata, può avere effetti negativi e persino fatali, come avviene in corso di tempesta citochinica.
COVID-19 ed età: dati epidemiologici a confronto
Tra i fattori che spiegano la più alta mortalità per Coronavirus Infectious Disease 19 (COVID-19) in Italia rispetto a quanto avvenuto in Cina, si trova sicuramente un’età media superiore della popolazione italiana rispetto a quella cinese1. La mortalità per COVID-19 in Italia si è attestata al 7.2% contro il 2,3% della Cina. Come si nota in figura 1, stratificando per età i pazienti, tra 0 e 69 anni la mortalità appare simile tra i due Paesi, mentre nella fascia d’età che va dai 70 anni in poi è più alta in Italia. Una spiegazione potrebbe essere la maggiore età media della popolazione italiana (ci sono più ultranovantenni che in Cina). Altra ipotesi è quella per cui molti decessi sono stati attribuiti a COVID-19 e registrati come tali quando, in realtà, sono stati causati da patologie croniche concomitanti, quali appunto il diabete e le sue complicanze.
Si tenga presente che, in un gruppo di 52 pazienti deceduti per COVID-19, 32 risultavano affetti da altre malattie croniche preesistenti quali malattie cerebrovascolari, ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatia ischemica cronica2.

COVID-19 nei pazienti diabetici: maggior rischio di contrarre l’infezione o di sviluppare complicanze?
Una metanalisi di 12 studi cinesi (2108 pazienti) e alcuni dati preliminari italiani condotta presso l’Università di Padova ha evidenziato che il diabete non aumenta il rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2. Infatti, tra i pazienti infetti, la percentuale di diabetici non era superiore rispetto a quella dei diabetici nella popolazione generale. In altri termini, all’interno di due gruppi, uno costituito da 100 pazienti infetti e uno costituito da 100 pazienti non infetti, si troverà sempre lo stesso numero di soggetti diabetici. Pertanto, sembrerebbe che il diabete non esponga ad aumentato rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-23.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal maggior numero di complicanze e dalla più elevata mortalità per COVID-19 in pazienti diabetici rispetto a quanto avviene in pazienti non diabetici. Le persone con diabete hanno normalmente un rischio maggiore di sviluppare complicazioni nel corso di qualunque malattia acuta, infezioni comprese. I risultati di questo studio confermano questa regola generale. Tra le persone con infezione da COVID-19 con decorso sfavorevole, la prevalenza di persone con diabete è risultata maggiore. Quindi, in caso di infezione, le persone con diabete presentano, come atteso, un maggior rischio di complicanze. Va sottolineato che i pazienti con andamento peggiore erano mediamente molto anziani e affetti anche da altre patologie (vedi anche “Trasmissione del virus e conseguenze nei bambini”). Pertanto, risulta ancora difficoltoso stabilire quale sia il reale contributo del diabete nel determinare la prognosi dell’infezione da SARS-CoV-2 e quali possano essere i meccanismi coinvolti. Da questi dati si comprende l’importanza di una maggiore attenzione per i pazienti diabetici durante l’infezione.




È possibile pensare a terapie sinergiche nei pazienti diabetici affetti da COVID-19?
Vista la tempesta citochinica che può conseguire da COVID-19, rivestono un ruolo fondamentale farmaci che modulano l’azione del sistema immunitario. Tra questi, sembrano essere funzionali proprio alcuni farmaci antidiabetici, come gli inibitori della Di-Peptidil-Peptidasi di tipo 4 (DPP4), una proteina essenziale nel nostro organismo coinvolta nell’infiammazione e nel disattivare numerosi ormoni.
Tali farmaci sono impiegati nel trattamento del diabete di tipo 2 ed agiscono impedendo la degradazione della proteina DPP-4, che fisiologicamente blocca l’azione delle incretine. Le incretine sono ormoni prodotti dal nostro organismo per regolare la motilità intestinale ed aumentare il senso di sazietà, riducendo l’assunzione di cibo. Quindi inibendo la proteina che funge da freno per le incretine, tali ormoni sono liberi di svolgere la loro azione antidiabetica, favorendo una regolarizzazione dei valori di glicemia.
Inoltre la DPP-4 è una proteina di superficie espressa su diverse cellule immunitarie (linfociti, cellule dendritiche, macrofagi) ed è capace di modulare l’espressione di varie molecole infiammatorie4. Molti studi si stanno concentrando sull’impiego degli inibitori della DPP-4 nel trattamento di gravi patologie infiammatorie.
Altro fattore da considerare è il legame da parte di alcune specie di Coronavirus al recettore DPP-4 (che è presente anche nel nostro sistema respiratorio). Questo recettore potrebbe essere necessario al virus per l’ingresso nelle cellule respiratorie. I farmaci della classe dei DPP4-inibitori, quindi, potrebbero in via teorica impedire l’infezione agendo nella sua fase iniziale5.
A tal proposito, si è visto che nella MERS (Middle East Respiratory Syndrome), malattia infettiva causata da un diverso ceppo di Coronavirus, il recettore DPP-4 riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia e alcune mutazioni geniche (Figura 3) in DPP-4 risulterebbero persino protettive nei confronti dell’infezione6.




Attualmente la possibilità di un’efficacia degli inibitori di DPP-4 contro le infezioni, è stata solo ipotizzata sulla base di dati generati in modelli di animali da laboratorio e richiederà diversi studi per essere dimostrata. Solo le valutazioni epidemiologiche già in corso in tutto il mondo nei pazienti affetti da diabete che hanno contratto l’infezione da COVID-19 possono sostenere o confutare l’ipotesi della possibile protezione associata a questa categoria di farmaci. Per i pazienti diabetici, in caso di infezione da Coronavirus, gli esperti raccomandano di mantenere un adeguato controllo glicemico, intensificare i controlli della glicemia. Si consiglia, inoltre, in caso di ospedalizzazione, il passaggio da una terapia orale ad una terapia insulinica.
In sintesi, i dati epidemiologici disponibili ad oggi indicano che:
1) Il diabete non aumenta il rischio di contrarre l’infezione da COVID-19;
2) Una volta contratta, l’infezione nei diabetici sembrerebbe associarsi a rischi maggiori di complicanze rispetto alle persone che non hanno il diabete, come avviene anche in relazione ad altre infezioni più comuni, come ad esempio l’influenza, per cui non a caso la vaccinazione è fortemente raccomandata nei pazienti con diabete.
3) Dal punto di vista pratico al momento è fondamentale che i pazienti con diabete seguano scrupolosamente le raccomandazioni igieniche e di distanza sociale, volte a minimizzare il rischio di contrarre l’infezione e che proseguano con un’alimentazione controllata e con le terapie farmacologiche prescritte, in modo da mantenere sotto controllo il livello della glicemia.
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Bibliografia
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- Fadini GP et al. Prevalence and impact of diabetes among people infected with SARS-CoV-2. J Endocrinol Invest. 2020;43(6):867-869. doi:10.1007/s40618-020-01236-2
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- https://www.diabete.com/diabete-covid19-raccomandazioni-pratiche-la-gestione-del-diabete-pazienti-infezione/